Da questo momento in cui il mondo circostante parve disciogliersi intorno a lui, in cui egli rimase abbandonato come in cielo una stella solitaria, da questo momento di gelo e di sgomento Siddharta emerse, più di prima sicuro del proprio Io, vigorosamente raccolto. Lo sentiva: questo era stato l’ultimo brivido del risveglio, l’ultimo spasimo del nascimento. E tosto riprese il suo cammino, mosse il passo rapido e impaziente, non più verso casa, non più verso il padre, non più indietro.

Siddharta, figlio di un Brahmino del luogo, decide di intraprendere un pellegrinaggio per cercare la via verso il proprio Io, verso la Perfezione. Accompagnato dall’inseparabile amico Govinda, decide, contro il volere del padre, di unirsi ai Samana, dai quali impara le arti ascetiche e perfeziona le tre sue abilità principali: aspettare, digiunare, pensare. La continua insoddisfazione porterà Siddharta a cambiare tante altre volte la sua strada: la mancanza di fiducia nelle dottrine lo porterà all’abbandono della sua persona più cara, scoprirà l’amore e l’impossibilità ad amare, imparerà mestieri e sperimenterà i vizi degli uomini, che a lungo aveva condannato. È solo alla fine di una travagliata esistenza, dopo aver seguito gli insegnamenti di un Saggio, che Siddharta raggiunge il suo scopo, diventando tutt’uno col mondo.

Quella di Siddharta è una lettura delicata, le cui parole sono sospese nel tempo. È difficile parlarne senza incappare in spoilers: il senso del libro si trova, nascosto tra le righe, già nelle prime pagine, ma è solo alla fine che il lettore giunge alla sua realizzazione, accompagnando metaforicamente Siddharta nel suo percorso. Se volete evitare spoilers, fermatevi qui con la lettura di questo post.

Il processo di trasformazione di Siddharta è costante, interminabile: viene forgiato prima dai Samana, poi da Kamala, poi dal mercante, poi da Vasudeva, e continuamente da sé stesso. Il percorso di trasformazione, però, è simile a quello del fiume: l’acqua scorre interminabile, ma il fiume resta sempre lo stesso, rimane allo stesso posto, imperturbabile. La trasformazione è quindi allo stesso tempo un ciclo che si ripete e allo stesso tempo non esiste: il Creato è Tutto e Uno allo stesso tempo. Siddharta raggiunge l’illuminazione eliminando per sempre, grazie all’insegnamento del fiume, la variabile del tempo da questo processo di trasformazione: tutto quindi coesiste, e sempre. Anche il percorso di Govinda, che fino alla fine non sembra essere per niente terminato, raggiunge la sua conclusione quando si rende conto della Santità di Siddharta: l’aveva abbandonato per seguire il Santo, Gotama, ma l’aveva avuto accanto sin dall’inizio.

Tutto si chiude in un cerchio, che allo stesso tempo è una spirale e un punto unico e indivisibile. È questa la potenza che Siddharta irradia: quella di un libro eterno, che diventa di diritto uno dei miei libri preferiti.