Il senso di pericolo, una vena erotica e una solitudine opprimente giocano a nascondino tra la folla. Lì regnano l’indefinito, l’imprevedibile, l’etero, l’effimero. La città è il luogo dove gli opposti più improbabili si incontrano, il luogo dove le nostre separate intuizioni per un attimo convergono. La città è un labirinto di analogie, una foresta simbolista di corrispondenze.

Quando ho cominciato a prendere libri “al buio”, senza minimamente informarmi sulle tematiche, sull’autore o sul genere, sapevo benissimo che sarei incappato in una esperienza come quella che mi ha regalato ‘Il cacciatore di Immagini’ di Simic. Sviluppandosi come una sequenza di flash scollegati, come ne ‘Il cuore avventuroso’ ma su scala ridotta, il libro racconta dell’artista newyorkese Joseph Cornell e della sua arte legata a doppio filo con la città, suprema protagonista della narrazione. Proprio nella città “regnano l’indefinito, l’imprevedibile, l’etero, l’effimero”, e viene dipinta come “un labirinto di analogie, una foresta simbolista di corrispondenze”. Come un essere vivente a sé stante, avvolge la vita di chi vi cammina tra le strade, nascondendo significati e mostrandone altrettanti, mascherando continuamente la percezione dell’errante col caos e il disordine.

Forse è così che Joseph Cornell si sentiva, sulla strada che lo portava alle sue opere d’arte: tanto dell’essenza della città si trova nelle sue ‘Scatole’, le sue opere più conosciute, descritte a fondo negli estratti del libro (con tanto di fotografie a colori). Forse è così che Charles Simic voleva che io mi sentissi, quando mi sono imbarcato in un’opera riguardante un artista che non conoscevo affatto. Non è per questo motivo che si legge? Per imparare cose nuove, per apprezzare l’arte racchiusa in un’esperienza. E nonostante la brevità di questo libricino, che si legge in poco più di un’ora, le immagini racchiuse al suo interno sono davvero tante.