“La morte condivisa… in particolare, la morte condivisa come desiderio di coloro che si amano: ne sentiamo continuamente raccontare. Gli amanti la cercano anche come via di fuga dalla separazione nello spazio e nel tempo.”

Il piccolo lavoro di ‘Filemone e Bauci’ ha origine a seguito di un evento tragico nella vita dell’autore: la morte di René Marcic, caro amico e docente di diritto, che più volte a lezione aveva trattato gli scritti di Jünger, e della consorte Blanka. I due, diretti a Salisburgo, muoiono in un incidente aereo a causa di un attentato a bordo. Questo tipo di morte, considerata “banale” in un mondo in cui la tecnica ha preso il sopravvento, è statistico, onnipresente come un’ombra, a differenza delle epoche passate in cui la morte diventava un episodio fortemente legato al rango della persona, alle sue azioni dirette, assumendo un senso completamente diverso.

“L’incidente come diretta conseguenza dell’accelerazione è diventato una frequente causa di morte, e a chi gode di un’ampia cerchia di amici difficilmente sarà risparmiata la sventura di una simile perdita. La notizia arriva inaspettata, “a ciel sereno”, e subito si pone la domanda sul senso della disgrazia. […] Il destino dell’uomo sembra qui ricondotto alla sua quantificabilità, al numero – per esempio quello del biglietto aereo – e non appare invece, come nella tragedia, intrecciato al suo rango, alle sue colpe, alla sua singolarità.”

Attraverso la metafora del mito di Filemone e Bauci di Ovidio, Jünger riflette su vita, morte e metamorfosi, passando attraverso il pensiero di Goethe e Nietzsche, analizzando il Faust, Mefistofele e Zarathustra. I riferimenti alla mitologia classica e alla narrativa del tempo sono innumerevoli, e il libro si apprezza appieno se si conoscono bene tutte le opere che vengono citate, il pensiero dei rispettivi autori e quello di Jünger, che ancora una volta condivide col lettore il suo saggio pensiero critico nei confronti della realtà moderna.