“Ma le metropoli della decadenza non hanno radici. A maggior ragione non le ha la grande città mondiale, dotata di lunghi tentacoli che conficca nel terreno per estrarre acqua, dati ed energia. Sulla terra, accumula rifiuti: nella terra, scarica liquami. Ma non possiede radici che possano affondarvi. E i suoi abitanti ne condividono il tragico fato.”

Cosa direbbe un attento osservatore a riguardo dello spirito del nostro Tempo ai pensatori più rilevanti del passato, prossimo e remoto? La risposta che Beniamino di Dario offre in ‘Del declinare del mondo’ è tutta racchiusa nel titolo del saggio: completa decadenza, declino delle civiltà, dei valori, dell’umanità; l’ultimissimo stadio del ciclo conclusivo. Attraverso una raccolta epistolare molto corposa, destinata a grandi pensatori come Plotino, Heidegger, Cioran, Jünger, Mishima, così come a personaggi fittizi, come il professor Vigo e Martin Venator di Eumeswil, l’evoluzione della civiltà, occidentale e orientale, antica e moderna, viene vivisezionata e analizzata in senso metafisico: l’autore ne ricerca i simboli comuni per evidenziarne i tratti che possono mettere in luce analogie tra ciò che è già successo “nei cicli precedenti” e quello che succederà, prossimamente, nell’ultimo ciclo, quello in cui ci si trova attualmente.

Nonostante la complessità dei temi, dei quali alcuni lati potrebbero risultare oscuri se non si ha una solida base relativa al pensiero dell’autore al quale ogni volta la lettera è destinata, l’autore riesce a essere chiaro e schietto nel suo messaggio e nella relativa spiegazione: è così che si è in grado di apprendere importanti lezioni di storia, filosofia e religione, mentre si procede all’analisi e la demolizione sistematica di tanti degli aspetti che rendono tale la civiltà in cui ci troviamo immersi. Si parlà di libertà, di modernità, di valori sacri ma poi perduti, di anestetizzazione delle masse; si parla delle città, che si fondano su asfalto e catrame, in cui non affondano più radici: l’analisi che se ne fa è completamente in contrapposizione con quella che si legge ne ‘Il cacciatore di immagini’ di Simic, che invece eleva le città al grado più alto. Si parla dell’uomo, del perché il contesto in cui viviamo in questo preciso momento storico ha assunto proprio i connotati che conosciamo bene; si parla di noi.

Lo definirei ‘Il libro delle verità’, molte delle quali scomode alle masse. È proprio per questo motivo che la lettura di questo saggio risulta illuminante, e non fa altro che farci riflettere.