“Il profumo portato dalla primavera si sposava alla perfezione con il silenzio in cui quel luogo, a quell’ora solitamente gremito, sembrava immerso. Rivolse una silenziosa preghiera a 𝑺𝒆𝒏𝒈𝒆𝒏, per poi soffermarsi con lo sguardo, una volta riaperti gli occhi, sui fiori di ciliegio da poco schiusi.”

C’è qualcosa che si risveglia, in me, ogni volta che si amplifica nell’aria il sentore della Primavera. Il daltonismo attraverso il quale osservo il mondo lascia spazio a vibranti colori di rinascita: verde, azzurro e oro avvolgono i miei sensi, facendomi sentire tutt’uno con la natura che mi circonda. Allo stesso modo, ‘La danza della polvere di stelle’ affonda le sue radici nella Primavera traendone la più intensa linfa vitale. Tutto il simbolismo presente nel breve racconto ruota intorno a essa, dall’atmosfera alle ambientazioni, dall’immaginario alla simbologia di personaggi e miti.

Chiudo gli occhi, come Ayumu al santuario di Imamiyaasama. A valle di un profondo sospiro, sento il profumo dell’erba umida e dei fiori di ciliegio appena sbocciati; alcuni di essi cadono sulla pietra, lentamente, opponendosi agli spiriti del tempo. Allo stesso modo la Primavera subentra al rigore invernale con delicatezza, ciclicamente, chiudendo un arco e inaugurando il prossimo. ‘La danza della polvere di stelle’ riprende questa ciclicità donando alla storia significati che possono essere apprezzati appieno solo ad un nuovo inizio.

C’è qualcosa della Primavera che ogni anno mi porto dietro, di inviolabile bellezza. Forse è quel frammento di eternità che si stacca da essa e resta in me, un granello di polvere che si posa sul cuore. Quell’eternità che in ‘La danza della polvere di stelle’ ha il viso e il sorriso di una fanciulla, e il portamento e l’eleganza della divinità. Entrambe le figure sono senza tempo, irradiano luce; ma allo stesso tempo incarnano la vita e il suo opposto.